Quasi tutti aspirano a uno stipendio che perlomeno garantisca un tenore di vita dignitoso e non generi evidenti difficoltà economiche, e nel caso del sistema pensionistico più comune, quello contributivo, ovviamente più alto è lo stipendio, quindi l’entrata media, più consistente sarà la pensione.
Questo è un obiettivo, ma anche una comprensibile e giustificata preoccupazione che spinge milioni di persone ad entrare nel mondo del lavoro: assicurarsi uno stipendio sufficientemente alto da poter contare su una pensione adeguata, quindi superiore alla media. Un concetto aleatorio, ma comunque importante.
Il sistema pensionistico è molto complesso e un paese con un’età media già piuttosto elevata ha inevitabilmente difficoltà a far quadrare i conti, soprattutto, come è logico, per le fasce meno abbienti. Cerchiamo di fare chiarezza analizzando gli stipendi e il rapporto con il sistema pensionistico su cui si basa questo concetto.
Il passaggio dal retributivo al contributivo
Il sistema pensionistico italiano è cambiato radicalmente non molti anni fa, perché il tessuto sociale, la longevità, quindi l’aspettativa di vita media, e molti altri fattori hanno portato il sistema pensionistico e il welfare in generale a trasformarsi profondamente. Come noto, infatti, una parte dello stipendio viene destinata ai contributi che poi genereranno la pensione.
Anche se è difficile calcolare con precisione, esistono proiezioni per stimare uno stipendio abbastanza “giusto”, e il passaggio dal metodo retributivo a quello contributivo ha avuto conseguenze significative che si fanno sentire ancora oggi. È importante però analizzare cosa è effettivamente cambiato con questo passaggio così importante, che però non ha risolto tutti i problemi.
Il sistema pensionistico retributivo, di fatto quasi completamente abbandonato dalla seconda metà degli anni ’90, si basava su una media della retribuzione, mentre il sistema contributivo si fonda sulla quantità di contributi versati, fattore che riduce il potere d’acquisto delle pensioni rispetto al passato, con differenze notevoli.
La proiezione su 20 anni di contributi
Naturalmente questo sistema è molto svantaggioso per chi non ha accumulato abbastanza contributi in termini di anni per andare in pensione tradizionalmente: per la pensione “di base” sono necessari almeno 20 anni di contributi effettivi e non figurativi, e di solito a questo requisito si aggiunge un’età minima anagrafica.
Tenendo conto di questo, chi va in pensione con 20 anni di contributi, in media riceve solo una percentuale di ciò che ha versato e di ciò che “guadagnava” come stipendio quando lavorava. Quindi, in proiezione, un lavoratore che ha avuto idealmente 20 anni di contributi, considerando anche il montante contributivo, non potrà contare su uno stipendio sufficiente.
20 anni a 20 mila euro annui di media, calcolando il sistema di pensione contributiva, ammontano a poco più di 720 euro annui. Bisogna ricordare che l’importo della pensione è influenzato anche dal tipo di contributi, quindi dal tipo di lavoro che abbiamo scelto, nonché, in minima parte, dall’andamento economico del nostro paese.
La pensione “tipo”
La struttura, proprio per il 2025, ha subito una forma di ampliamento per chi decide di andare in pensione considerando la quota minima di contributi, che è, come detto, 20 anni, e un’età minima di 64 anni. In questo caso, infatti, la legge di Bilancio relativa al 2025 ed efficace quindi fino alla fine dell’anno in corso, ha evidenziato alcune differenze.
La pensione “anticipata” a 64 anni e 20 anni di contributi può essere però ottenuta esclusivamente attraverso contributi accumulati versati a partire dal 1° gennaio 1996 (da quando è entrato in vigore il tipo di pensione calcolata secondo il sistema contributivo). Inoltre, per essere richiesta, la pensione deve essere almeno 3 volte quella minima che per il 2025 ammonta a circa 603 euro.
Alcune riduzioni possono essere applicate per le donne con un figlio, da 3 volte la pensione minima a 2,8, e 2,6 per le donne con almeno due figli; in questo caso, però, potranno essere calcolate anche le tipologie di prestazioni previdenziali diverse tra loro, purché sempre di tipo non figurativo, ma effettivamente versate.
La situazione pensionistica italiana
Naturalmente, più sono gli anni di contribuzione, più alto sarà l’importo della pensione; calcolando quella presa in esame poco sopra, esiste anche una forma di limitazione, in quanto la pensione con 20 anni di contributi e l’età minima di 64 anni non può essere superiore a una somma pari a 5 volte l’importo minimo, quindi è leggermente superiore a 3000 euro mensili di pensione.
Queste soglie saranno destinate a cambiare nuovamente, perché l’Italia, come accennato all’inizio, è un paese che non solo è mediamente “anziano” come età media, ma è anche in forte calo demografico, per cui il sistema pensionistico naturalmente ha già una netta influenza e l’avrà ancora di più in futuro.